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Cervino parete Nord

Aggiornamento: 14 nov 2021

(Che il lettore abbia pietá di me, scrivo come scalo: da animale)

Tutto ha avuto inizio in Sardegna. Appena terminato il Selvaggio Blu, riaccendendo il telefono dopo 5 giorni di detox, leggo un messaggio spaventoso del mio amico Lore: "Chiamami, Quel Momento è giunto". ...e cosí, un paio di settimane dopo ci troviamo nel parcheggio del Bennet di Ivrea, con quintali di moschettoni, chiodi e ferri del mestiere riversati a terra, pronti per essere selezionati e stivati negli zaini. Meta: via Schmid, Cervino.

Avvicinamento alla parete

È un lunedí di ottobre e gli impianti sciistici del comprensiorio Cervinia-Zermatt non sono ancora tutti aperti. Ciò significa che il nostro sogno di raggiungere in ovetto lo Swarzii si infrange nell’indifferenza di un gattista svizzero che ci dà la triste notizia (visivamente preoccupato nel vedere i nostri zaini e il lungo sentiero che ci aspettava!).

Piano piano giungiamo alla capanna Hornli, dove incrociamo due ragazzi appena scesi dalla nord (velocissimi - erano al massimo le 17!). Appena giunti al rifugio, i due corrono nelle loro cuccette, recuperano dei misteriosi sacchi ed escono sull'eliporto, dove tirano fuori... due parapendii!!! E in quattro e quattrotto eccoli atterrare a Zermatt con le ultime luci (Bast****!).

Torniamo a noi... Sveglia impostata alle 3.45 - partenza prevista per le 4.30. Secondo tabella oraria, saremmo dovuti arrivare alle prime vere difficoltà, dove è facile sbagliare "strada", con le prime luci del giorno.

Driiin! Tutto da programma. Attacchiamo con grinta il primo muretto di misto che conduce al ghiacciaio della nord. Alle 6 del mattino raggiungiamo la base del grande nevaio che porta facilmente ad un terzo di parete... ("facilmente"…).

A due terzi di questo affrontiamo due goulotte di ghiaccio quasi a 80° ed un passo di misto su una liscissima placca rocciosa scoperta dal ghiaccio (sig). Poi di nuovo un tratto di pendio ghiacciato e poi un altro tiro di misto bello tignoso in un diedrino. Finalmente, dopo giá 4 lunghezze di corda, scorgo a un tiro di distanza la famosa "sosta zero"! Evvai, la "rampa"! Da lí cominciano le difficoltá... Ah, perché prima era facile?!?

I primi tiri in verità scorrono facilmente, nonostante in teoria il loro grado si aggiri sull' M4+, cioè tra i piú difficili della via.


L2, godimento puro

Siamo sollevati e molto rincuorati. Ci godiamo con ampio respiro altre 4 lunghezze di corda, proteggendo sempre su ottimo ghiaccio o su belle fessure.


Partenza L3 in scioltezza

Ci sono anche parecchi chiodi qua e lá e persino due spit malconci - se continua cosí ce la beviam...

L4 ultime gioie

TAC! Ecco dinnanzi a noi il camino di M5, il tiro chiave. Azz, si presenta davvero male, non ha un filo di ghiaccio e la roccia che lo costituisce è pessima. Che si fa? 15 metri destra sembra esserci una goulotte ma finisce su muri verticali che sembrano molto difficili... La relazione dice di puntare al camino... e (ingenuamente) parto con i paraocchi verso 'sto camino, in uno che diventerá i tiri piú paurosi della mia vita. Continuavo a salire su di una pietraia inclinata a 75/80°, tenuta insieme dal ghiaccio intersiziale. Proteggevo con frend pessimi, piazzati tra un sasso e l'altro di questa catasta e con un solo chiodo da ghiaccio da 10 cm, messo per metá in una bolla di ghiaccio. I ramponi grattavano su roccia, con le monopunte che come bisturi cercavano gli appoggi piú solidi. Le picche rimbalzavano ogni volta che provavo a colpire il poco ghiaccio sottile che incontravo.

L4 dove iniziano i calci

Dopo 40 m e 3/4 protezioni ne ho abbastanza. Trovo uno spuntone e ci metto un cordino intorno, poi due frend in due diversi "massi" e, non ancora convito, pianto due bei chiodi da roccia. Mi appendo comunque con diffidenza alla sosta. Salvo! La concentrazione era stata tale che non mi rendevo ben conto di dove ero lungo il tiro, di dove stavo passando. Pensavo solo a non cadere, a continuare a salire. È allora che cedo di aver davvero capito Ernest Hamingway ne Il Vecchio e il Mare: "non è il momento di pensare a cosa faresti con quello che non hai. Ora devi pensare a cosa puoi fare con quello che hai".

Intanto appeso in sosta, mi ricarico e guardo a destra cercando un passaggio, una via di fuga da questo incubo. Un sistema di cengette sporgenti e ghiacciate portava ad uno spigolo, dove Lore trova qualche vecchio chiodo. Ci infiliamo in questa variante ed in breve ritorniamo su terreno meno secco. Le picozze tornano a battere sul ghiaccio e le viti a entrare fino in fondo. In un paio di tiri meno duri arriviamo all'ultimo vero ostacolo: il tiro di IV in roccia, che conduce alla cascata. Esso è composto da due belle fessure a lama che ricordano un po' la "foglia" della via del Pesce d'Aprile in Valle dell' Orco. Peccato che laggiú si scala in maglietta, qui con picche e ramponi... Tocca a me sfidarlo da primo, e con i nervi ormai a pezzi dalla mia precedente disavventura, fatico non poco ad arrivare in sosta. Ricordo bene come per un paio di metri non ci fossero altri appoggi per i piedi se non delle microtacche per il rampone monopunta sinistro ed una bella frattura nello spigolo della foglia, per il mono destro. E le mani trazionavano duro sulle picche incastrate in torsione nella spaccatura! Wow, che sforzo mentale concentrare le ultime forze su quei passaggi... La cascata successiva ci rilassa un po'. È un tiro di 40 m inclinato a 80°, e tutto su ghiaccio! Una raritá ormai... Ogni colpo è simile ed affidabile, il movimento torna abitualmente a essere fluido. Che spettacolo!

L10 ultime difficoltà

Penultimo tiro: traversone discendente di M4. Sosta su due chiodi e un buon friend. Quando mi ci attacco realizzo che è fatta, che da lí in poi è solo piú resistere, che non incontrerò piú passaggi tecnicamente complicati, che non ci sono piú ostacoli tra me e la vetta. ...e menomale, perche intanto si è fatto buio!!

Siamo circa a 4100 m e per la vetta ce ne sono ancora 300! Sono le 18.30 e il giorno ci abbandona. Contemporaneamente, la luciditá mi abbandona.


Fa un freddo cane e il cappuccio delle due giacche e del guscio che tengo sopra il casco mi mandano di continuo la pila frontale sugli occhi. Sono costretto a scalare semibendato perchè non posso fermarmi, non posso perdere tempo. Se mi sistemassi la lampada sarei costretto ad arrestare la "gloriosa conserva verso la cima" che Lore ha intrapreso, con una grinta scovata dal piú profondo del cuore.

Sono stupito dalle energie che il mio compagno sta sfoggiando. Da quando siamo usciti dalle difficoltá, non l'ho piú visto. Ha preso tutti i t-bloc e da allora viaggia 60 m avanti a me, nel buio totale, con un ritmo incalzante che nemmeno questa mattina riusciva a mantenere. A me va bene, devo solo seguire la corda e le sue esili impronte nel ghiaccio.

Mi riposo un po' i nervi. Sono stravolto... Si vede che non abbiamo piú il peso incombente della montagna sopra di noi, ora siamo piú leggeri. Siamo in cielo ormai, le stelle si avvicinano sempre piú. E noi stiamo sgasando tanto che lasciamo una fiammata lungo il nostro percorso!!

Alle 19.30 circa Lore si ferma. Ha di fronte uno sperone verticale di roccia giallastra e marciotta. Ancora a destra, un versante. Alzando gli occhi ha visto un vecchio chiodo. Zmutt! Siamo sulla cresta di Zmutt!! Evviva! Lo raggiungo velocemente e, annebbiati come siamo, ci poniamo un quesito totalmente errato, che ci risulterá evidente solo il mattino successivo, con le prime luci: "ma se siamo sulla Zmutt, cioè la normale italiana, dove sono i famosi canaponi? Dove sono i segni di passaggio delle millemila cordate?". Non capiamo, siamo stanchi.

Rivolti dietro lo sperone, al riparo dal vento, facciamo due conti: quanto manca alla cima? Dalla cima al bivacco di emergenza posto sulla normale ci saranno 3h con la luce del giorno, cioè 5h di notte e stanchi. Qui siamo su un comodo terrazzino ben riparato dal vento, non abbiamo il sacco a pelo, ma siamo ben vestiti, abbiamo telino termico, fornellino e cibo.

Ci guardiamo negli occhi e in un secondo abbiamo deciso: si bivacca.

In cucina

Onde mantenere un po’ di calore corporeo, dopo essermi vestito con tutto quello che avevo, decido che le prime ore del bivacco le avrei passate a costruire un giaciglio piú accogliente possibile. Prima a colpi di piccozza sulla roccia, poi costruendo grezzi muri a secco, realizziamo una cengia con due gradini, uno per il sedere ed uno per i piedi. Distendiamo la corda come materassino per isolarci le chiappe dal terreno, poi ci sediamo, cercando di trovare una posizione abbastanza comoda. Allentati gli scarponi, infiliamo i piedi nello zaino, ci avvolgiamo nel telino di alluminio e iniziamo a cucinare. Passiamo un po' di tempo a ingerire cibo e bevande calde, poi dopo aver spento le luci, ci abbracciamo ed iniziamo a tremare insieme. Non era un freddo da congelare, tuttavia ci portava a tremare con forza, tendendo tutti i muscoli fino ad ai crampi! All’ inizio ero un po' preoccupato. Pensavo che sarebbe stata una nottata infinita, un incubo. Invece ad un certo punto mi ci sono abituato e in fondo sono stato bene! Vedevo la volta di stelle che oltre a stare in alto, scendeva fin sotto l'orizzonte, e di fronte a me scorgevo la Dent d'Herens illuminata dalla luna. Inoltre io e Lore ci abbracciavamo tanto a vicenda, il che ci permetteva di mantere calore. Raramente ho avuto un contatto umano piú vitale di quello. Si era fratelli. Ho pensato a tante cose, alla via, alla mia vita, alla mia ragazza. Ho desiderato ardentemente un sacco a pelo calduccio che mi coprisse per bene.

Poi, piano piano viene giorno, e una volta ridestati, facciamo colazione.

Tiepido risveglio

Intanto, guardandomi intorno mi cresce un dubbio... la normale italiana è la Cresta del Leone, non la Zmutt. Eccerto che ieri non trovavamo i canaponi, sono 300 m a sud!! Tutto si fa chiaro. Lo dico a Lore e ci facciamo una gran risata!! Quindi ci attiviamo. I ramponi sono ormai parte di noi e le picche inglobate come veri prolungamenti dei miei arti.

Lore di nuovo in testa. Io dietro. Tanti t-bloc in mezzo. Ma dura poco, perchè appena oltre uno strapiombino, pochi minuti dopo aver lasciato il bivacco, ecco che scorgo un traliccio: è la croce! E non riesco a crederci. Subito non la guardo tanto. Non può essere lei, non può giá essere li. Non è stato cosí impossibile fare sta nord allora?! Non è vero! Lore raggiunge la cresta e vira ad est, finalmente baciato dal sole. Lo raggiungo e ci abbracciamo forte.


Cima

Siamo noi, siamo su una cima. Non sappiamo bene come e perchè ma intorno a noi c'è solo vuoto, a 360 gradi. Ce l'abbiamo fatta!

Note tecniche:

  • Via molto più lunga di quanto pensassimo. A nostro avviso, l’unico modo di eseguire questa salita in sicurezza, cioè piazzando buone protezioni e soste affidabili, è con i tempi da noi effettuati (calcolare 12 h). Chi la fa in giornata, scendendo con la luce, sicuramente si prende dei rischi molto, troppo elevati (il nostro posto da bivacco era super comodo - esposto a SW – tenerne conto! Rispetto che scendere al buio...).

  • Il materiale è il solito da montagna, fatta eccezione per le viti da ghiaccio da 10 cm in numero maggiore (5 su 10, quelle da 17 entrano molto di rado), e 4 autobloccanti t-bloc per le conserve protette.

  • Avevamo con noi solo il fornellino per ogni evenienza, ma con il senno di poi un sacco a pelo un’altra volta lo porto…

  • Riguardo alla relazione da seguire, la migliore, dopo averne consultate un paio, è sempre il proprio buon vecchio intuito. Non male quella di Godani ma, rispetto alle condizioni da lui incontate, vi erano delle difformità al fatidico camino di L5, e al tiro di accesso al IV di roccia (lui parla di un traverso orizzontale di 45 m? Si traversa di 4/5 m e poi si sale in diagonale!).

  • Normale svizzera davvero infinita, specie se da effettuare ramponi ai piedi… ci abbiamo messo 6h!

...però gran gran figata di giro!!

 

Venerdì 26 novembre 2021 presenterò questa salita in una serata organizzata dal CAI Cumiana. L'appuntamento è alle ore 21 al salone degli Alpini, via Provinciale 11, Cumiana. Ingresso Libero ! Accorrete numerosi!



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