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Gioele Poddine

Puro Selvaggio Blu

La storia che state per leggere non ha nulla a che vedere con il trekking ‘Selvaggio Blu’ che tutti voi conoscete. Non perché questo racconto parli di un altra cosa, ma semplicemente perchè il selvaggio blu di cui avete sentito parlare dagli amici, dalle foto su instagram o dalle pubblicità delle agenzie, non ha neanche vagamente il cuore e l’anima che dovrebbe avere. Non è il VOSTRO Selvaggio Blu! Tutto ciò che scrivo, cioè quello che ho maturato durante questo cammino, lo devo ai miei compagni di avventure - Marti e Giulio - e a Gigi - un Sardo dalla grande ed infinita passione per la sua terra. Ebbene, cominciamo: come tutti sanno, la Sardegna è una terra tanto accogliente sulle sue rive bagnate dal mare, quanto è aspra nel suo entroterra. Per questa ragione, moltissimi amanti del Wilderness e del trekking intraprendono la famosa traversata del Supramonte di Baunei, chiamata con il celeberrimo nome di Selvaggio Blu! Ma di cosa si tratta esattamente? Che ha di speciale? Me lo chiedevo anche io prima di andare a scoprirlo, e sicuramente non ve lo rivelerò qui; tuttavia posso darvi qualche indizio. Lungo i 50 km di percorso non vi sono né veri sentieri ne tantomeno rifugi. L’acqua è assente e l’unico modo di sopravvivere ai 5 lunghi giorni di trekking è portarsi tutto il necessario per sopravvivere nello zaino! Ci si può appoggiare ai pochi pastori che vivono sul territorio per due sole notti, dopo aver portato loro (prima dell’inizio del trekking) le provviste ed i rifornimenti idrici necessari. Ma quindi? Che c’è di bello? Si tratta di un trekking avventuroso, ricco di calate in corda doppia nel vuoto, passaggi a picco sul mare, tuffi nelle più remote cale sarde... e ancora! Cannonau, porceddu cucinato direttamente dai pastori sul fuoco, grotte e gallerie naturali, espostissime scale in ginepro costruite per le capre…

Il percorso oltre ad essere già di suo difficile da trovare, presenta numerosissime varianti per soddisfare a pieno le fantasie di coloro che lo percorrono. Grazie a queste caratteristiche esso diventa un viaggio estremamente personale e coinvolgente, al punto da essere paragonato ad una spedizione! La logistica di approvvigionamento, la sostenutezza delle difficoltà, sono solo alcune delle fatiche che bisogna saper affrontare prima di raggiungere Cala Sisine, la tanto bramata quanto semplice meta, che funge da pretesto per il Selvaggio Blu! E credetemi, quando ci arriverete, l’emozione sarà tanta...

P.S. In verità esisterebbe un modo per camminare sempre a zaino semivuoto, cioè farsi aiutare da jeep o gommoni per il servizio logistico di cibo e suppellettili, ma a mio parere è un peccato rovinare un avventura pura e di selvaggio faccia a faccia con la natura incontaminata. Effettuare una traversata in stile pulito, ricercando l’essenzialità dei materiali, l’unione dei compagni di avventura, la bellezza della disintossicazione dalla tecnologia vi regalerà non solo un emozione che pochi possono provare, ma vi cambierà un pochino la vita…

 

IL RACCONTO DELLA NOSTRA AVVENTURA


Quando ho deciso di intraprendere la traversata del Supramonte di Baunei, conoscevo poco o nulla del percorso e dello spirito che lo anima. Sapevo che esistono delle agenzie che si occupano della logistica di cibo e acqua per i trekkers, portandoti di giorno in giorno tutto il necessario per i bivacchi con il gommone. Infatti il Supramonte è privo di strutture abitative, strade e in particolare, fonti d’acqua. È un promontorio brullo, con suolo prevalentemente calcareo e vegetazione arbustiva. In passato veniva usato solo per povera pastorizia ovina e per la produzione di carbone in quelle sporadiche aree boscose. È Selvaggio appunto! Non mi piaceva! Che razza di avventura into the wild è se ogni giorno mi devo trovare in riva al mare ad aspettare che un gommone mi porti birre e pane fresco? Non faceva per me, volevo qualcosa di speciale, di unico. Volevo un’esperienza libera, che fosse solo mia!


Secondo il mio studio dell’ itinerario saremmo riusciti a compiere la traversata in cinque giorni, godendocela alla grande. Non avevo intenzione di avere fretta o di non passare tutto il tempo necessario nelle fantastiche cale che avrei incontrato lungo il percorso. Cinque giorni – quattro bivacchi. Facendo un rapido conto dell’acqua che sarebbe servita - circa 3 litri al giorno – il peso dello zaino si sarebbe fatto troppo gravoso sul nostro godimento della vacanza. Va bene soffrire un po’… ma a esagerare no, grazie!


Decisi quindi che ogni due giorni dovevo incontrare un rifornimento di viveri e liquidi, e siccome avevo deciso di ripudiare la barca di supporto, e non conoscevo ancora Gigi ed i suoi contatti strategici coi pastori, l’unica soluzione rimasta era imboscare via terra le scorte, raggiungendo trasversalmente il percorso in due punti. Quindi il primo giorno di vacanza lo avremmo passato a fare rally selvaggi sulle sterrate sarde per avvicinarci al massimo ai sacri punti scelti. Avevo sentito parlare di una variante del trekking che dopo Cala Golorizzè, invece che attraversare il Bacu Boladina, restava basso sul filo di costa fino a Cala Mariolu. Sapevo poco di questa variante e decisi di non documentarmi oltre. Volevo evitare di scoprire troppo su tempistiche e tracciato, per avere davvero il sapore del imprevisto sulla punta della lingua.

 

Fine Settembre. Eccoci in Sardegna. Tralasciando, per motivi di tempo, la parte legata ai preparativi, tra spesa, auto bloccata in uno sterrato orrendo e messa in posto dei rifornimenti in loco con strategie anti-attacco caprino, siamo in partenza! Il primo giorno, essendo ben rifornito, lo zaino pesa molto. Le nostre spalle non sono ancora allenate e insieme con le gambe fanno a gara a chi soffre di più la lunga salita sotto Punta Giraldini. Fa un caldo anomalo per la stagione, tanto che siamo costretti letteralmente a strizzare più volte la maglietta per asciugarla dal sudore. I miei compagni sono un po’ perplessi… non siamo dei trekkers abituali, siamo scalatori o alpinisti; la pura camminata non ci convince molto. Così un poco di sconforto intacca la nostra convinzione. Tuttavia adattiamo velocemente l’occhio a trovare il giusto sentiero, che spesso tende a disperdersi nella macchia mediterranea, e il gioco della ricerca del percorso ci fa man mano scordare della fatica. Presto (si fa per dire) completiamo i più di 20 km che uniscono le prime due tappe del percorso, da Santa Maria Navarrese a Porto Cuau, dove passeremo la prima notte. La prima sera siamo un po’ delusi… abbiamo passato una bella giornata, unendo con una linea sulla mappa un grande percorso. Di questo siamo molto fieri, specialmente considerando il gravoso carico dello zaino che trasportavamo. Quello che ci lascia l’amaro in bocca è arrivare alla zona del campo, dopo una giornata intera nell’assoluta solitudine, immersi nella natura incontaminata ed incontrare quasi 200 persone stipate nelle piccole piazzole preposte, o ammassate a scaricare i loro ‘beni di prima necessità’ dai gommoni, quali trolley con abito per la sera, beauty-case da mezzo chilo munito persino di rasoio per barba elettrico e taniche di acqua dolce per la doccia! Siamo sconcertati. Vorremmo fuggire, andarcene da quel mercato generale. La cosa ci irrita moltissimo. Siamo in mezzo al nulla da tutto il giorno, solo noi con i nostri fottuti zaini, e ora ci tocca passare la notte ficcati in mezzo al centro commerciale la domenica di Natale? Qualcosa non va. Sistemati in cima ad una collinetta, un po’ stretti e scomodi, osserviamo dall’alto i rituali dei selvaggi in infradito. Infine, andiamo a dormire sotto una distesa di stelle, sincera. Il resto del percorso era a noi ormai chiaro: avremmo fatto le tappe di testa nostra, scegliendo i posti da bivacco in modo indipendente da quelli che consigliano le guide cartacee, così legate ai gommoni... E così è stato. I giorni successivi abbiamo assaporato i riflessi più belli che il mare abbia mai scagliato sul calcare, abbiamo ammirato l’arte temeraria con cui i pastori nei secoli passati creavano dei passaggi sulle pareti per raggiungere il loro bestiame. Stando spalla a spalla ad ammirare ogni alba sul mare dai nostri sacchi a pelo, insieme ai miei compagni si è creata una routine di collaborazione reciproca che raramente ho avuto modo di osservare cotanta sinergia tra persone.


Insieme abbiamo affrontato esposti traversi su rocce friabili, calate nel vuoto a corda doppia, lunghe grotte ramificate, vino, ferrate, giungla mediterranea davvero selvaggia, incontri culturali, ideologici ed umani con gente del luogo, come Gigi, come i pastori, che davvero conoscono quella terra e che hanno con essa un rapporto speciale e profondissimo. È stato quindi un cammino isolato nel wild, ma ricchissimo di legami e conoscenze. In particolare, incontrare Gigi durante il bivacco nella grotta di Cala Mudaloru, ci ha fatto capire quanto il Selvaggio Blu, se vissuto in una certa maniera, sia un viaggio che va molto oltre all’avere una nuova foto profilo su Instagram. Questa traversata è una spedizione! È costituita da campi intermedi, difficoltà di approvvigionamento idrico e gastronomico. Si ha a che fare con una terra brulla, che ad ogni angolo offre insidie inaspettate e scorci meravigliosi.



Gigi ed i suoi amici battono queste terre per passione, scoprendone i passaggi logici, quelli spettacolari e quelli inutili. Compiono Selvaggi Blu con zaini carichi di carne da arrostire la sera, e nei loro rifornimenti nascondono vino e formaggio invece che acqua e pane! Conoscono i pastori, e si fanno raccontare della terra. Loro li aiutano, offrendo loro riparo per la notte e affidabili quanto genuini punti di appoggio per i bivacchi.


E tutto questo non è che lo sfondo dove con gli amici, semplicemente, sorridi.

 

LA MIA PROPOSTA: Noi Guide Alpine di puremountain.org, ci proponiamo di accompagnare le persone che desidereranno la nostra guida nella Traversata del Supramonte di Baunei, detta Selvaggio Blu, con etica ed estetica. Il nostro vuole essere un viaggio che cambi non solo la foto su Instagram dei nostri clienti, ma la loro visione di Selvaggio, di avventura, di compagnia. Come già detto, si tratta di una spedizione, e tutti devono essere coinvolti nella sua preparazione. Saremo una squadra, un team! Sarà più faticoso magari, tuttavia mi auguro che lo sforzo sarà completamente ripagato, e resterà per sempre impresso nelle vostre vite! Andiamo?

 

Aneddoti di viaggio: 1)HARD TIMES ON THE SEA: Il terzo giorno abbiamo affrontato la “variante sul mare”, la tappa piu insidiosa del nostro giro, che con una grezza ferrata unisce Cala Golorizzè alla bella Cala Mariolu.

Dopodichè, avevo informazioni che una traccia di sentiero continuasse da Mariolu, in direzione nord, fino a Muradulu… che incubo! Il sentiero (per così dire) si trovava appena, e in certi tratti passava su espostissimi canali friabili 200 metri a picco sulle scogliere.



Non passavano due metri che era necessario guardarsi in torno per essere sicuri di non essersi persi troppo… rametti segati, qualche vecchio segno di scarpa erano le nostre uniche tracce gps da seguire in quella giungla.

Dopo due ore di navigazione, sempre io in testa al gruppo, ero sconvolto. Marti era stanca e iniziava ad avere le visioni di un bel bagno in spiaggia, intanto che si chiedeva perchè mai nelle vacanze noi fatichiamo più che in tutto il resto dell’anno; Giulio invece era nel suo mondo, andando a rilento e distraendosi eccessivamente a fare foto e video da mandare simultaneamente agli amici. Ad una certa sbotto: “ragazzi, non ne posso più di andare avanti tirando un rimorchio. Aiuto!” Vedendomi in faccia, pallido e stanco, i miei amici capirono all’istante quale doveva essere il loro compito. Giulio si mise in testa al gruppo e Marti si fece forza, tenendosi tra se e se le piccole lamentele che in quel momento delicato andavano solo ad abbassare la soglia di stress da me sopportabile. E un ora dopo eravamo alla mata! Cosa era successo? Un perfetto lavoro di squadra! Ero fierissimo dei miei amici!

2)THE LAST DAY: Come è finito sto Selvaggio Blu? Il lettore infine si starà chiedendo “chissà che emozione alla fine, l’arrivo a Cala Sisine…dai racconta!”. Ebbene no, non ci siamo arrivati. L’ ho detto o no che voleva essere un Selvaggio Blu a modo mio? Quella che sarebbe stata l’ultima notte, abbiamo risalito il Bacu Padente fino a Olobizzi, dove ci aspettava inaspettatamente il mio fratellino, oltre al secondo carico di rifornimenti. Ceniamo tutti insieme, invitati da Gigi e compagni a condividere una grigliata di maiale. E così parlando, scopriamo di una magnifica variante che dopo la gola di Sa Nurca porta a Cala Biriala con una paurosa calata di 50 m sulla spiaggia. Mio fratello Sim ed Ele, la sua ragazza, sono entusiasti. Contemporaneamente, Giulio e Marti si sentono stuzzicati al pensiero di camminare un po meno e passare una bella giornata in una spiaccia come quella di Biriala. Quindi è presto deciso, il nostro tour terminerà a Biriala Beach! L’indomani salutiamo Gigi, Franz, Urs e Paolo, augurandoli i nostri migliori auguri nel godersi la loro tanto ambita cala Sisine, mentre noi ci incamminiamo con zaini molto più leggeri verso l’ovile Piddi. Per l’ultima volta indossiamo caschi e imbraghi e ci avventuriamo nella profonda e strettissima gola di Sa Nurca, che porta immediatamente a sbalzo sulla nostra meta cristallina: Cala Biriala. Con un paio di corde doppie e un breve sentiero in discesa ci troviamo immediatamente a sbalzo sulla spiaggia. 50 m ci separano dal bagnasciuga. 50 m di strapiombo. Per l’ultima volta gettiamo le corde e uno dopo l’altro, con gesti ormai abituali ci caliamo, emozionati, lungo la corda. Una volta a terra, ci spogliamo e tutti insieme ci tuffiamo in mare!


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